Devotischeletri di Giulia Ceolin
Danza senza trama per solo sentire
La dimensione del rito manca completamente nel quotidiano scorrere del tempo odierno, o per lo meno manca la dimensione del rito collettivo, quello che amplifica la sua potenza in nome della condivisione con altri.
Più approfondisco il mio rapporto con la danza, più ragiono con consapevolezza sulla decisione di esibirsi per un pubblico, più cresce il senso di responsabilità verso questo atto che considero sacro. Perché scelgo di mettere il mio corpo fisico e l'ancor più vulnerabile intreccio energetico in mostra, alla mercé di un osservante che per forza giudicherà il mio operato? Una volta l'unica risposta si esauriva forse nel bisogno di considerazione che aveva ancorato le sue origini nel profondo delle mie carenze affettive, ma ora non basta più. Appurato che l'andare (o mettere) in scena è, per me, un atto vitale ed irrinunciabile, mi sono chiesta come poterlo fare senza cadere nell'edonistico rischio di compiacere. Da qui la volontà di ricercare la dimensione rituale della messa in scena per donare a livello simbolico al pubblico, a me stessa, ai danzatori, ai luoghi la possibilità di giovare dell' atto creativo.
Devotischeletri vuole essere sì un omaggio alla struttura del corpo che ci sostiene, ma anche una valorizzazione dei popolari "scheletri nascosti" che palesandosi in momenti assolutamente imprevedibili ci guidano nel percorso evolutivo scoprendo i punti deboli.
Ritengo inutile raccontare il perchè della scelta di alcuni colori o del posizionamento delle maschere in scena perchè è tutto studiato seguendo antiche regole naturali e il semplice seguire queste regole genera un certo effetto. La coreografia è molto scarna e minimale, non descrive, non racconta ma sfrutta movimenti basici della danza afro strutturati in modo crescente e di graduale coinvolgimento del corpo per lasciare che ogni volta la scena si colori di diverse sensazioni, frutto del momento contingente.